Esami di Biologia Molecolare

Il Laboratorio Analisi dell’Ospedale San Pellegrino ed i Centri prelievo ad esso afferenti, eseguono test specifici di biologia molecolare atti ad individuare :

  • la predisposizione a sviluppare intolleranza al lattosio tramite un semplice prelievo di sangue.
  • L’infezione da papilloma virus (HPV) “ad alto rischio” tramite tampone cervico-vaginale o su campione citologico cervicale
  • L’infezione da virus dell’epatite B (HBV) tramite un semplice prelievo di sangue.
  • L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) tramite un semplice prelievo di sangue.
  • Alcune delle IST (infezioni sessualmente trasmisse) più comuni: Gonorrea (gonorrhoeae), Clamidia (C. trachomatis),  Tricomoniasi (T. vaginalis) ed un’infezione batterica non gonococcica e non clamidiale (Mycoplasma genitalium) tramite un semplice campione di urine o tampone genito-urinario o liquido seminale.

Di seguito alcuni approfondimenti.

Fonte: https://www.epicentro.iss.it/hpv/

HPV: COSA SAPERE

L’HPV (Human Papilloma Virus) è una delle infezioni trasmesse sessualmente più comuni al mondo, spesso sottovalutata. È diffuso soprattutto tra i giovani e si trasmette facilmente attraverso contatti sessuali, anche non penetrativi. Sebbene nella maggior parte dei casi l’infezione sia transitoria e asintomatica, in alcune situazioni può persistere e causare problemi più seri, come lesioni precancerose o tumori.

COS’È L’HPV E COME SI TRASMETTE

Il papillomavirus umano è un piccolo virus a DNA che comprende oltre 100 tipi diversi. Circa 40 di questi possono colpire l’area ano-genitale, provocando sia patologie benigne (come i condilomi genitali) sia maligne. Alcuni tipi, definiti “ad alto rischio”, come l’HPV 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 66, 68 sono particolarmente pericolosi perché associati a tumori, in particolare al carcinoma del collo dell’utero, uno dei tumori più diffusi tra le donne.

La trasmissione avviene attraverso il contatto diretto tra pelle e mucose durante i rapporti sessuali. Anche l’uso del preservativo, pur essendo molto utile, non elimina completamente il rischio, poiché il virus può infettare aree non coperte.

COSA SUCCEDE DOPO L’INFEZIONE

La maggior parte delle infezioni da HPV si risolve spontaneamente entro uno o due anni grazie all’azione del sistema immunitario. Tuttavia, in alcuni casi l’infezione può persistere e progredire, portando a lesioni precancerose. Se non diagnosticate e trattate in tempo, queste lesioni possono evolvere in tumori nel corso di molti anni. Tra i fattori che favoriscono la progressione troviamo Il fumo di sigaretta, l’uso di contraccettivi orali, l’elevato numero di parti e la presenza di altre malattie sessualmente trasmesse.

COME PREVENIRE L’HPV

La prevenzione si basa su due pilastri principali: screening regolare e vaccinazione .

  • Screening: il test HPV e’ un esame molecolare molto efficace nel rilevare i tipi di virus HPV ad alto rischio. Esiste ormai una chiara evidenza scientifica che uno screening primario con test clinicamente validati per la ricerca molecolare di HPV oncogeni è più efficace dello screening basato sul pap-test nel prevenire i tumori invasivi del collo dell’utero (fonte: Ronco G, Biggeri A, Confortini M et al. Ricerca del DNA di papillomavirus umano (HPV) come test primario per lo screening dei precursori del cancro del collo uterino – HTA Report. Epidemiol Prev 2012; 36 (3-4) suppl 1: e1-72 )
  • Vaccinazione: I vaccini contro l’HPV, introdotti nel 2007, sono un’arma potente per prevenire le infezioni e i tumori correlati. Proteggono contro i principali tipi di HPV oncogeni e altri tipi responsabili di condilomi genitali. Sono offerti gratuitamente alle ragazze e, in alcune regioni, anche ai ragazzi, intorno ai 12 anni.

 L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

Nonostante la maggior parte delle infezioni non porti a conseguenze gravi, l’HPV è responsabile di tumori come quello del collo dell’utero, dell’ano e, in misura minore, di vulva, pene e orofaringe. Ecco perché è fondamentale combinare vaccinazione e screening regolari per proteggersi al meglio.

L’HPV è un nemico invisibile ma affrontabile: informazione, prevenzione e controllo possono fare la differenza per la salute di tutti.

Fonte: https://www.epicentro.iss.it/ist/pdf/Vademecum_Doppie%20per%20stampa%2010-10-2024.pdf  (recente pubblicazione a cura della SIMaST – Società Interdisciplinare per lo studio delle Malattie Sessualmente Trasmissibili​ )

COSA SONO LE IST? 

Le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) sono patologie che si diffondono tramite contatti sessuali e includono oltre 30 tipi di batteri, virus e parassiti, alcuni trasmissibili anche da madre a figlio. Le IST, se non curate adeguatamente, possono comportare gravi conseguenze a medio e lungo termine, quali tumori, sterilità, problemi in gravidanza, danni al nascituro nonché alto rischio di contrarre l’infezione da HIV.  In Italia, le IST più comuni sono condilomi ano-genitali (HPV), epatite B (HBV), sifilide, gonorrea (N. gonorrhoeae) , clamidia (C. trachomatis), herpes genitale, tricomoniasi (T. vaginalis), infezioni batteriche non gonococciche e non clamidiali (esempio Mycoplasma genitalium) e HIV.

Nel 2022 si è registrato un aumento dei casi di gonorrea del 48%, di sifilide del 34% e di clamidia del 16%. I casi di gonorrea sono aumentati notevolmente nei giovani di età compresa tra 20 e 24 anni. Gli aumenti osservati, con una predominanza tra le giovani donne, sono preoccupanti poiché l’infezione da gonorrea (o anche quella da clamidia) non trattata può portare a serie complicanze tra cui la malattia infiammatoria pelvica e l’infertilità.

COME SI TRASMETTONO?

Gli agenti responsabili delle IST si trasmettono attraverso qualsiasi tipo di rapporti sessuali (vaginali, anali, orali) per contatto con liquidi organici infetti (sperma, secrezioni vaginali, saliva), attraverso cute e mucose. Inoltre, si possono trasmettere attraverso il sangue (es. trasfusioni, contatto con ferite, scambio di siringhe, tatuaggi, piercing), con i trapianti di tessuto o di organi e, infine, per passaggio diretto dalla madre al feto o al nascituro durante la gravidanza, il parto, o l’allattamento.

QUALI DISTURBI/SINTOMI POSSONO DARE?

Come per ogni altra infezione, una volta che l’organismo entra in contatto con un agente patogeno inizia un periodo di incubazione durante il quale non si hanno sintomi o disturbi, ma si può già trasmettere l’infezione. La durata dell’incubazione varia da pochi giorni a settimane o mesi, a seconda del microrganismo responsabile dell’infezione. Dopo il periodo di incubazione si possono sviluppare sintomi o segni visibili nell’area genitale o su altre aree del corpo.

Quando una persona ha una IST asintomatica o con sintomi molto lievi, non è consapevole di essere infetta e può involontariamente trasmettere l’infezione ai partner in caso di rapporti sessuali non protetti. Alcuni sintomi delle IST che è importante riconoscere e per i quali è fondamentale rivolgersi tempestivamente al proprio medico sono:

  • Perdite genitali dalla vagina, dal pene o dall’ano (che si possono osservare sugli indumenti intimi);
  • Dolore nella parte bassa dell’addome o nella zona pelvica, non correlato al ciclo mestruale nella donna;
  • Presenza di prurito e/o di lesioni di qualunque tipo nella regione dei genitali, dell’ano o della bocca;
  • Necessità di urinare spesso, alcune volte con dolore o bruciore;
  • Dolore e sanguinamento durante e/o dopo i rapporti sessuali.

COME FACCIO A SAPERE SE HO UNA IST?

Non appena si osserva qualsiasi tipo di manifestazione inusuale, fastidio, bruciore, pustola, perdita, secrezione o altro sintomo anomalo a livello genitale, è fondamentale rivolgersi quanto prima ad un medico. Per accertare la diagnosi è necessario fare degli esami di laboratorio

Non dimentichiamo che una diagnosi precoce è molto importante: per impostare tempestivamente la giusta terapia e quindi alleviare/eliminare i sintomi, per prevenire le possibili complicanze e per evitare la trasmissione ad altre persone.

Fonte: www.epicentro.iss.it

DECORSO CLINICO

Asintomatico nella maggior parte dei casi. Nei casi sintomatici: dolori addominali, nausea, vomito e, a volte, ittero con febbre lieve. La forma itterica e’ presente nel 30-50% delle infezioni acute negli adulti e nel 10% nei bambini.

Letalità: circa 1%, con aumento nei soggetti sopra i 40 anni.

 Cronicizzazione:

  • Negli adulti: 5-10%dei casi.
  • Nei neonati: cronicizzazione nel 90% dei casi.

Complicanze della cronicizzazione:

  1. Cirrosi epatica nel 20% dei casi entro 5 anni.
  2. Epatocarcinoma (cancro al fegato), specialmente in presenza di cirrosi.

TRASMISSIONE

  • Parenterale apparente: trasfusioni, aghi/strumenti infetti.
  • Sessualeperinatale (da madre a figlio).
  • Parenterale inapparente: tramite oggetti contaminati (spazzolini, rasoi, ecc.), grazie alla resistenza del virus sulle superfici per almeno 7 giorni.

In riassunto, la sorgente d’infezione sono i soggetti con malattia acuta o i portatori cronici, in cui il virus persiste nel sangue e in altri liquidi biologici, quali saliva, bile, secreto nasale, latte materno, sperma, muco vaginale.

Categorie a rischio:

  • Tossicodipendenti
  • Praticanti di sesso non protetto.
  • Operatori sanitari, familiari e partner di persone infette.
  • Persone che si sottopongono a tatuaggi, piercing, manicure, pedicure con strumenti non sterilizzati.

 INCUBAZIONE

  • Varia da 45 a 180 giorni, di solito tra 60 e 90 giorni.

 

Controlli

Per capire se una persona sierologicamente positiva è malata o semplicemente un portatore sano, è necessario cercare nel sangue l’HBV-DNA, che rappresenta il genoma del virus. Questo è il marker più sensibile per indicare la replicazione virale: la sua presenza conferma che l’infezione è attiva.

L’intolleranza al lattosio è una condizione clinica caratterizzata da dolore e distensione addominale, flatulenza e diarrea, che si manifestano in seguito all’ingestione di alimenti contenenti lattosio.
In Italia si stima che circa 50% della popolazione presenti un deficit enzimatico tale da determinare l’intolleranza al lattosio.

Che cos’è

Il lattosio, presente nel latte e nei prodotti derivati, è uno zucchero definito disaccaride, ovvero è costituito da due zuccheri più semplici: glucosio e galattosio. La digestione del lattosio avviene a livello dell’intestino tenue grazie all’azione di un enzima, chiamato lattasi, che è in grado di dividerlo nei due zuccheri costituenti.

In caso di deficienza della lattasi l’organismo non è in grado di digerire correttamente il lattosio, determinando l’insorgenza dei sintomi.

Quali sono le cause e tipologie

La deficienza dell’enzima lattasi si può correlare a tre condizioni:
1. Alacatsia o ipolattasia congenita: i sintomi insorgono alla prima assunzione di latte da parte del neonato, poiché si nasce senza la capacità di produrre l’enzima;
2.  Ipolattasia primaria o deficit primario di lattasi: i sintomi si manifestano in età infantile o più tardivamente in età adulta, poiché si nasce con la capacità di produrre l’enzima ma questa nel tempo diminuisce;
3. Ipolattasia secondaria: i sintomi si manifestano secondariamente ad altre patologie (malattia celiaca, Morbo di Crohn…) o ad assunzione di farmaci che determinano una diminuzione dell’enzima, quindi la risoluzione della causa primaria porta alla risoluzione dei sintomi.

Quali sono i sintomi

La sintomatologia può coinvolgere l’apparato gastrointestinale o altri distretti. I sintomi gastrointestinali sono tipicamente: diarrea, nausea, gonfiore e dolore addominale, più raramente stitichezza. I sintomi extra-intestinali più frequenti sono: mal di testa, astenia, dolori muscolari e/o articolari, perdita della concentrazione, lesioni o eruzioni cutanee, ulcere della mucosa orale.

La sintomatologia insorge in seguito ad ingestione di lattosio ed è difficile individuare la soglia di tolleranza, poiché dipende da diversi fattori (dose di lattosio consumata, espressione genica dell’enzima, altri alimenti ingeriti in associazione al lattosio, durata del transito intestinale, composizione del microbiota).

Diagnosi

La diagnosi di intolleranza al lattosio può essere effettuata tramite: test della tolleranza al lattosio, Breath Test (BTH), test genetici.
Il test genetico  è utile per valutare la predisposizione genetica del soggetto all’intolleranza al lattosio, e permette di operare una diagnosi differenziale tra ipolattasia primaria e secondaria.

In ogni caso per diagnosticare l’intolleranza al lattosio, oltre ad avvalerci dei suddetti test, si devono prendere in considerazione la sintomatologia del soggetto e le eventuali associazioni con altre patologie.

Trattamenti

Il trattamento indicato per l’intolleranza al lattosio consiste nella riduzione e/o eliminazione di tutti gli alimenti contenenti lattosio, ricordando che il lattosio oltre ad essere presente nei prodotti caseari e nel latte è largamente utilizzato come additivo in diverse tipologie di alimenti.

Fonti:  Michele Di Stefano. Il malassorbimento e l’intolleranza al lattosio.Fisiopatologia, diagnosi e approccio terapeutico. Rivista Società Italiana di Medicina Generale. 2012, vol n.5, 40-45   
Filippo Fassio et al. Lactose Maldigestion, Malabsorption, and Intolerance: A Comprehensive Review with a Focus on Current Management and Future Perspectives. Nutrients 2018, 10, 1599; doi: 10.3390/nu10111599          

Fonti: https://www.cdc.gov/hepatitis-c/about/index.html ; https://www.who.int/en/news-room/fact-sheets/detail/hepatitis-chttps://www.epicentro.iss.it/epatite/epatite-c

L’epatite C è un’infiammazione del fegato causata dal virus HCV. Può variare da una malattia lieve che dura poche settimane a una malattia grave e a lungo termine. Quest’ultima, se non trattata, può portare a gravi conseguenze come cirrosi e cancro epatico. Si stima che a livello globale 50 milioni di persone vivano con infezioni croniche da HCV, con circa 1 milione di nuove infezioni ogni anno. Nel 2022, l’OMS ha registrato circa 242.000 morti per epatite C, principalmente per cirrosi e carcinoma epatocellulare.

Trasmissione e Prevenzione

Il virus si trasmette principalmente tramite sangue infetto, ad esempio attraverso:

  • Condivisione di aghi e siringhe.
  • Trasfusioni non sicure.
  • Pratiche mediche non igieniche. Può anche essere trasmesso durante il parto o in relazioni sessuali con esposizione al sangue, ma queste modalità sono meno comuni. L’epatite C non si trasmette attraverso il contatto casuale, cibo o acqua.

Non esiste un vaccino contro l’HCV, ma è possibile prevenirne la diffusione con:

  • Uso sicuro degli strumenti sanitari.
  • Programmi di riduzione del danno per tossicodipendenti.
  • Screening del sangue donato.
  • Educazione sanitaria e sesso protetto.

Sintomi e diagnosi

Le infezioni acute da HCV sono solitamente asintomatiche e la maggior parte non porta a una malattia pericolosa per la vita. Circa il 30% (15-45%) delle persone infette elimina spontaneamente il virus entro 6 mesi dall’infezione senza alcun trattamento. Il restante 70% (55-85%) delle persone svilupperà un’infezione cronica da HCV. Tra coloro con infezione cronica da HCV, il rischio di cirrosi varia dal 15% al ​​30% entro 20 anni. I sintomi possono comprendere: febbre, affaticamento, perdita di appetito, nausea, vomito, dolore addominale, urine scure e ingiallimento della pelle o degli occhi (ittero).

La diagnosi avviene in due fasi:

  • Test sierologico per la ricerca degli anticorpi anti-HCV che consente di identificare le persone infette dal virus
  • Test di rilevazione dell’RNA dell’HCV per confermare l’infezione attiva e la necessità di trattamento. Questo test è importante perché circa il 30% delle persone infette da HCV elimina spontaneamente l’infezione tramite una forte risposta immunitaria senza la necessità di trattamento. Sebbene non siano più infette, risulteranno comunque positive per gli anticorpi anti-HCV (test sierologico positivo).

Una diagnosi precoce può prevenire problemi di salute che potrebbero derivare dall’infezione e prevenire la trasmissione del virus.